Mi pongo questa domanda osservando Tania che, forse solo per oggi o magari fino all’eternità, rivestirà il ruolo di arbitro.
Le regole sono tutte rispettate: pantaloni scuri, camicia bianca e cravatta (prestata dal Maestro Pino, mi confida la nipotastra, giusto per l’occasione). Il tocco però è personale e femminile: la camicia portata fuori dai pantaloni, la cravatta lenta un po’ scesa sullo sterno, poiché si sà, le donne, prive del pomo di Adamo, mal sopportano le pressioni alla base del collo.
Non è che col karategi cambi l’atteggiamento. La vestizione rimane un rito per entrambi i sessi: indossi i pantaloni, tiri il laccio passante, fai un’asola; poi la casacca, l’accosti sistemi i lacci, prima il sinistro quindi il destro e da ultimo la cintura che, qualsiasi colore abbia, richiede attenzione.
Lo stesso indumento, gli stessi gesti ma risultati differenti. I maschi fanno aggiustamenti logici lisciando il davanti e sistemando la cintura. Per le donne è tutt’altra storia: chi rimborsa il dietro, subito sopra la cintura, chi lo fa liberando la nuca. Spesso qualcuna di noi accosta l’incrocio della casacca e qualcun’altra controlla i lacci in continuazione, mica per vedere che stiano chiusi, ma per sincerarsi che rispondano a canoni estetici ai più sconosciuti.
Ma è solo questo la via femminile del Karate?
Se è vero che la femminilità è l’insieme delle qualità fisiche e psichiche proprie della donna, e lo è, bisogna andare oltre le apparenze che, qualche volta aiutano a meglio definire, ma spesso ingannano sull’essenza.
Allora, quali qualità sono proprie? Per esempio l’agilità (mai fatti tutti i giorni le faccende di casa?) la forza (mai passato la notte con cinque chilogrammi di neonato urlante in braccio?), il coraggio (mai fatto fronte ad un’emergenza vera?) la sopportazione della sofferenza (mai partorito?) Di più: la speranza, l’allegria, la gentilezza, persino la fragilità.
Le eccezioni confermano la regola.
E come il karate aiuta? Dando maggior consapevolezza.
Ed è giusto per questa scoperta o ritrovata presa di coscienza che osservo le sorelline:
Sara piega leggera la testa e socchiude le palpebre ad ogni complimento. Naomi, più schiva, regala sorrisi d’angelo mentre Alice, senza avvedersene, si tormenta le mani.
Francesca finge indifferenza, tradita solo da una contrazione degli angoli della bocca, e Rita muore di paura. Elisa consola e Claudia si concentra.
E le altre? Si danno da fare ai tavoli della giuria e sui gradini, a tifare, applaudire, sostenere, consigliare, criticare, accudire o…a prendere inutili appunti, tanto i risultati sono tutti contenuti in quella infinita sequela di Coppe ben visibili nella foto dove, il petto degli uomini è gonfio di orgoglio e gli occhi delle donne ridono.
Oss.
Giò
Carnate, 30 aprile 2005